Calcio e fascismo di Ermovich

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CALCIO E FASCISMO

Di Ermovich

 

Appena preso il potere il regime fascista si rese conto, soprattutto con la diffusione della radio, dell’importanza propagandistica dello sport: ciclismo, atletica, pugilato, automobilismo e, ovviamente, il calcio. Nel 1925 Genoa e Bologna dovevano disputare la finale del girone Nord del campionato. Lo squadrista Leandro Arpinati, deputato e Federale di Bologna, vicepresidente della Federcalcio, avrebbe visto come un affronto personale una sconfitta del Bologna. Dopo le partite di andata e ritorno, le due squadre sono in parità. Si gioca, quindi, una terza partita in campo neutro, a Milano. Lo stadio è presidiato dalla squadraccia bolognese, pistole puntate sul campo. Sul risultato di 2-1 per i liguri l’arbitro Giovanni Mauro assegna un calcio d’angolo al Bologna. Arpinati, alla guida dei suoi squadristi invade il campo e convince con le maniere forti l’arbitro ad assegnare il gol al Bologna. E’ 2-2, ma Mauro avverte il capitano del Genoa che nel referto non convaliderà la seconda rete bolognese, estorta con la forza. Non sarà così. Nella quarta partita, a Torino, nonostante il ferimento di due tifosi genoani e le reiterate minacce di Arpinati, le squadre pareggeranno ancora. La quinta partita, giocata più di un mese dopo, si svolerà in gran segreto in un campetto della periferia milanese, alle 8 di mattina. Davanti agli squadristi armati, il Genoa cede. Sarà facile per il Bologna trionfare in finale contro l’Alba Roma, ferma da due mesi e con i giocatori non certo motivati a farsi sparare. Il gerarca Arpinati sarà presto premiato con la costruzione dello stadio Littoriale, l’attuale Dall’Ara e con la direzione della Federcalcio.

Grande importanza per la legittimazione internazionale del fascismo ebbero i mondiali del ’34, vinti anche grazie alla presenza di oriundi e, soprattutto, ai compiacenti arbitraggi dei direttori di gara scelti dallo stesso Mussolini.

Nell’agosto 1936, nei primi giorni della guerra civile spanola, il presidente del Barcellona, Josep Sunyol, fu catturato a Guadalajara e fucilato dai franchisti. Vinta la guerra, Franco fece del Real Madrid il principale strumento di propaganda del regime, soffiando il fenomeno Di Stefano al Barcellona e affiancandogli l’esule ungherese Puskas.

Sono tanti gli esempi di uso politico del gioco del calcio: nel 1942, nell’Ucraina occupata dai nazisti, i giocatori di una selezione mista tra Dinamo e Lokomotiv di Kiev, colpevoli di aver battuto per ben due volte la rappresentativa militare nazista, furono fucilati o deportati nei campi di concentramento.

Anche il cattolicissimo regime dei generali argentini utilizzò l’organizzazione del mondiale del ’78, vinto in finale contro l’Olanda del calcio totale, per ottenere una legittimazione internazionale. Intanto, durante le partite, approfittando della confusione, i militari facevano sparire gli oppositori politici, con la tacita benedizione del Vaticano e del dipartimento di stato USA.

Potrà sembrare solo un gioco ma il calcio muove grossi interessi, non solo economici, e la merda fascista non è mai scomparsa. Difficile non ricordare le croci celtiche esposte al Circo Massimo dai vari Buffon, Cannavaro, Gattuso dopo la vittoria mondiale nel 2006, i saluti fascisti in campo dell’infame Di Canio e del greco Katidis, subito portato in Italia dal Novara.

Non lasciamo che sia questa feccia a portar palla.

 

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